lettera a Rui Knopfli
Io, mio caro Rui Knopfli, io, mi sposo con l’asprezza delle micaias e delle rose,con il viola delle notti lente e alle lune con i due emisferi. Da sud a nord, in spirale, l’intensa lentezza dei sensi spossati dagli strani uccelli che popolano i miei sensi fatti di ali ben reali, muove il mio cuore, in un interno indiano. chiamatemi pure europea o africana. Che fare se non tacere? I miei versi liberi, liberi xingombelas, liberi pomi volano senza terra, in quella terra che porto dentro la casa mobile che attraversa il mio sogno. Molto dentro a tutti i paesaggi fai svegliare qui il tuo, il mio, spossatezza dolente, luce che le sere ardenti alzano nell’anima risvegliata al suo improvviso sorgere. È probabile, sicuro anzi, che il mio corpo intrecciato di liane e liamba sia una pianta rampicante fatta di nuvole in cui l’arcobaleno morde la coda di molti cieli in delirio, perché l’anima senza pace fa sposare esseri bifronti, mostri di un hermes senza patria
qual è la patria di un poeta se non la sua lingua bifida e in fiamme, se non il veleno redentore della mamba, dolore attorcigliato a questo corpo babele annunciata in fiamme?
nel frattempo c’è una terra e una patria in cui io mi fermo pian piano, mi riconosco e mi disconosco, scriba accovacciato arrossendo la lingua di amorosi sapori, di ritmi vibranti, è la tua patria di versi, mio caro Rui, la tua Mafalala intumescente José, la tua sensuale architettura a oriente, Eduardo, o principe dei poeti, la tua direzione tranquilla e silenziosa Artur, la scultura maconde della tua voce ferita, Noémia, il tuo ricamare di Pemba azzurro Glória, il monsone elegiaco, tragico, doloroso dei tuoi blues Patraquim, il tuo mare a nord nelle isole utopiche Virgílio, e sull’arca di Noé, la favola grottesca di Grabato che strappa i punti cardinali di una terra smarrita a Filimone , ma cresciuto in noi, fino al primo palmo di tutti i suoni.
Credimi, la terra-mare che cammina sulle nostre lingue è un origine oscena, una patria divisa in cronache della peste, una nascita incestuosa di madri multiple, in noi feconda o suono di xipalapala, eco lancinante della fine di un giorno, suono misterioso, monticello de muchém cresciuto dalla terra, sventrando ali in voluta, volo lento in un ombra accesa, patria mia,
passaporto
naturalità, solo una , la poesia.
Frontiera Liquida
Per Rita & Zé Luís
La piega del tempo si cuce senza segno fronte e retro
coincidono
e quello che succede è solo una sponda di
volontà dimenticata
così il mio viso sta nell’ombra da sempre
fino a quando il necessario numero delle lune incontri
la geometria esatta per illuminarlo
credo in questi numeri segreti
in questo incrociarsi di linee
sulla palma della mano
parallele due vite
mi danno
forse perché in una l’altra
illumini il mio viso
la frontiera liquida dei due mari
a occidente a oriente
rosa dei venti gira
di luna in luna il mio viso
calante crescente
intera non coincidente
luna nuova sono
solo quando c’è luna piena
Stagione delle pioggie
per magia una fiamma si accende
giochi nascosti la bocca si accende
un frutto rosso fa echeggiare il suo cuore
la sera gli animali sentono questo improvviso
alzarsi della luna
canto ancora basso nell’ombra
mi affido alle braccia degli alberi scopro il viso
delle buganville intrecciato con le mani dei girasoli gialli
lanciati dalla veranda nel vento
nascondo il mio viso tra le mani
vibra tra le mie braccia la violenza
incantata dei tuoni che disegnano raggi fulmini d’argento
soffia nel mio cuore una girandola in festa cresce un’
ombra che ritaglia spade di luce
colori fiammeggianti in circolo
la testa del crepuscolo spia così l’arrivo lento
della pioggia
è in questo tempo senza mai che la respirazione umida della
terra ci chiama
e ci ubriaca di tiepido tedio
Carosello giraluce
il volo del tuo sorriso breve figura di bambini con i
riccioli a spirale l’infanzia si riempie di sospiri
la foresta che alza lentamente gli occhi verdi
scende il cambrì dei giorni estasiati
dove vai così leggera? orlato il tempo di stelle giganti
gli occhi rotondi seguono il volo degli uccelli sui rami
il tatto rosso dei fiori di acacia che ridono nel buio
loro abbassano le dita
è una festa di cieli felici
maturano i frutti le mani toccano le età in cui canta
l’uccello dell’eco si riempiono dell’oro della sera i suoni
ripercossi nella pioggia di fuoco
leggere lune fanno rotolare l’odore dolce d’ incensi bruciati nel vento
è notte in questo mese da lontano una pietra di quarzo libera una
scintillante farfalla azzurra
un’altra luna declina petali meditando sulle cose dimenticate
la fronte rivolta verso la notte dei giardini sospesi lì dove il sangue delle foreste verdi passeggia nel cuore scuro
lì dove pulsa un’altra luna più grande
giallo-arancio fuoco e più strana
in una ruota continua un carillon attraversa la notte
la segue intorno al mondo
Ritorna all’aroma iniziale
perché ti è stato negato il tempo della fortuna il tuo cuore
riposa già estraneo
il rumore di un’ape e un silenzio ancora paragonabile
all’istante in cui si incrociano due predestinazioni
tutto ha un mistero di luce imprevista
si potrebbe dire che abbiamo fatto il giro di tutta la mappa
azzurro che stai per partire portami per mano il solstizio
incerte immagini rendono morbido il campo di gialli e rossi
si liberano fuochi
legate questa notte!
amore per il dubbio ma anche per le lacrime
lascia che venga quest’ ombra che mi trascini verso di lei
la sua daga incantata sogna nel mio corpo
chi porterà all’ombra tanto orrore chi restituirà alla polvere tanta follia?
dispersa la dama della notte il vento di ponente
lasciatemi come quando sono nata sola e nuda quando ho aperto gli occhi
che penetri solo un punto di luce pure
che per il rampicante delle ore si perdano la mia memoria
e il mio nome
il tatto delle belledonne mi abbandoni alla sera nell’umidità
dell’alba
che io finalmente ritorni al sapore iniziale
lasciate che io danzi a piedi nudi
che ritorni da molto lontano al petto di mia madre ardente
Un alto baobab sull’altra sponda del mondo
metto nel fiume il mio corpo fluttuante
le anche cinte di foglie e fiori di fuoco
una pioggia scintillante la sera profumo l’ombra
tocco mura fredde chissà se sono già soltanto una leggenda
ho bisogno di uno specchio vergine in cui nessuno si sia mai guardato
la tua tela di pittore il vento a dissipare memoria una canzone sulle mie labbra che risvegli l’azzurro che faccia
scintillare gli occhi degli spiriti e mi aiuti a riconoscerli
guardo nello specchio in cui mi guardi l’immagine ancora sola
la penombra dipinge di rosso scuro il giallo
in questo verde sono io che dormo incantata
un sedimento profondo quello che piange dentro di me
mostra la strada per il grande silenzio
uno strano vino ubriaca il fiume
all’improvviso una delle porte nell’acqua si apre verso dentro
entro nei fanghi verdi della corrente oscura
è me che aspetta tutte le notti di luna
un alto baobab sull’altra sponda del mondo
sono solo un suono lontano d’acqua
o colore che corre
stesa sulla tela torno alla magia dell’arcobaleno
attraverso il biancore sanguinante i rami nudi
mi crescono dalla bocca
mi guardo attraverso questo specchio e guardo dall’altro lato
un mago strano che dipinge il mio corpo
un uccello pesce che gioca in forma di serpente